Lettera a Camillo Po

Modena, Moschea. Avrá avuto 15 anni, massiccia, una ragazzina come tante.
Tranne che per il chador. Cioè il velo islamico semi integrale. Non un vestito, ma un simbolo. Di rifiuto, di valori condivisi.
Persone che hanno fatto un percorso. Che hanno tagliato ponti alle spalle. Dopo chissà quante derisioni, quanti bullismi. Dalle amichette che parlano dei concerti dei Maneskin, mentre per loro c’è solo la casa e la Moschea. C’è un dialogo mai veramente cominciato: quello tra “loro” e “noi”.
L‘islamismo dovrebbe essere un fatto privato. Nella cornice di uno stato laico. Che sia riconosciuto da tutti e diventi garante supremo. Direi a Camillo Po, se lo conoscessi, che, la laicità, non è una debolezza da nascondere: è una dura conquista da rivendicare. I diritti non sono mai raggiunti per sempre. Possono retrocedere e sparire, come la “ex-laica” Turchia ci insegna. Il problema dello Ius Soli non é semplice come vogliono farlo sembrare. Bisogna dialogare con certi paletti ben fermi. L‘antropologa Matilde Callari Galli parla di “meticciato”. Mia nonna diceva: “Patti chiari, amicizia lunga”.

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